Il Reiki che insegno
Il Reiki che insegno nasce da un desiderio profondo: praticare e trasmettere questa disciplina con consapevolezza, radicamento e rispetto. Troppo spesso, nella sua diffusione in Occidente, il Reiki è stato reinterpretato secondo logiche esotizzanti, commerciali o semplificanti, allontanandosi dal contesto giapponese in cui è nato. A My Reiki ci impegniamo a ricostruire un rapporto più autentico e responsabile con la pratica, liberandola da sovrastrutture che non le appartengono.
Un Reiki situato, non dogmatico
Shin shin kaizen Usui Reiki Ryōhō — «Metodo Reiki di Usui per il miglioramento di mente e corpo» — è la definizione che Mikao Usui diede alla sua pratica, sviluppata in Giappone nel 1922. Tuttavia, il metodo che oggi conosciamo come Reiki è il risultato di molte trasformazioni: rielaborazioni successive, adattamenti culturali e influenze spirituali esterne. Non esiste quindi un Reiki “originale” da restaurare, né un’unica via considerata “corretta”.
Il Reiki che insegno non è dogmatico: è un cammino che si apre alla pratica quotidiana, all’ascolto, alla relazione. Credo che ogni persona debba potersi avvicinare al Reiki in modo critico e libero, sviluppando una pratica viva, coerente con la propria esperienza e radicata in una conoscenza rispettosa delle sue origini.
Cosa intendiamo per Reiki tradizionale giapponese
Molte delle pratiche che insegno si ispirano agli insegnamenti di Chujiro Hayashi, figura chiave nella trasmissione del Reiki dopo Mikao Usui, e del maestro Hyakuten Inamoto, da cui ho appreso numerose tecniche e prospettive legate al contesto culturale giapponese. A questi riferimenti si affianca un costante lavoro di ricerca storica e confronto con fonti archivistiche, documenti e narrazioni trascurate dalla divulgazione occidentale.
Il mio approccio si nutre anche di un dialogo continuo con studiosi e interlocutori accademici, sia in Giappone sia a livello internazionale, che si occupano di storia delle religioni, pratiche terapeutiche e movimenti spirituali contemporanei. Questo confronto mi consente di contestualizzare le pratiche del Reiki in una cornice storica e culturale più ampia, e di trasmettere un insegnamento capace di onorare la sua complessità, evitando semplificazioni o derive sincretiche.
Insieme, queste fonti — viventi e testuali — mi permettono di proporre un metodo coerente con la sensibilità giapponese originaria, ma sempre attento alla realtà concreta delle persone che lo praticano oggi: un Reiki radicato, critico, relazionale.
Una pratica sobria, incarnata, consapevole
Nel mio insegnamento non troverai promesse miracolose, né concetti come i chakra, il karma o l’energia universale intesa in senso generico. Questi elementi, pur diffusi, non appartengono alla grammatica originale del Reiki giapponese, e spesso derivano da una spiritualità occidentalizzata che mescola simboli “orientali” in modo acritico. Credo che il Reiki non abbia bisogno di essere arricchito, ma liberato: da aspettative, da sovrastrutture e da una certa retorica del potere energetico.
Insegno una pratica semplice, essenziale e profondamente incarnata: basata sul tocco consapevole, sulla respirazione, sulla postura, sulla presenza. Un Reiki che si coltiva nel tempo, che non si possiede ma si vive. Un Reiki che nasce dalla relazione — con sé stessi, con gli altri, con il mondo.