I simboli Reiki
I simboli Reiki sono elementi centrali del percorso di formazione Reiki, trasmessi durante il Secondo e Terzo Livello. Conosciuti con il termine giapponese Shirushi, questi simboli non devono essere intesi come oggetti dotati di poteri intrinseci, ma come segni culturalmente situati, la cui efficacia nasce dalla relazione tra gesto, intenzione e contesto di pratica.
Nel Reiki, i simboli funzionano come dispositivi pedagogici: aiutano il praticante a dare forma a un’intenzione incarnata, sostenendo il passaggio da un apprendimento formale a una comprensione vissuta. In altre parole, il loro uso è parte di un processo che coinvolge il corpo, la memoria, e l’immaginazione, e che si realizza nella pratica stessa, all’interno di una cornice relazionale e rituale.
Oggi i simboli Reiki vengono spesso decontestualizzati e resi oggetto di interpretazioni esoteriche o universalizzanti. Questa pagina propone un approccio differente: esploreremo il significato dei simboli Reiki a partire dalla loro origine, dal modo in cui vengono trasmessi nei corsi, e dal loro uso come pratiche di senso in grado di favorire presenza, attenzione e consapevolezza.
Cosa sono i Simboli Reiki?
I simboli Reiki, o Shirushi in giapponese, sono segni grafici che vengono trasmessi nel corso dell’insegnamento tradizionale a partire dal Secondo Livello. La parola shirushi non ha connotazioni mistiche: nella lingua giapponese contemporanea può semplicemente indicare un contrassegno, un segnale, una traccia. È quindi fondamentale distinguere tra il significato linguistico originario e le proiezioni simboliche o spiritualizzanti che questi segni hanno acquisito nel Reiki occidentale.
Da un punto di vista antropologico, i simboli Reiki possono essere compresi come tecnologie del corpo e dell’attenzione: sono strumenti che agiscono non perché dotati di poteri autonomi, ma perché attivano una relazione tra il gesto del praticante, la sua intenzione e il contesto situato della pratica. La loro funzione è pedagogica e performativa: aiutano a canalizzare la concentrazione, a rendere visibile l’intenzione, a incarnare un passaggio interno attraverso un’azione visibile.
Nel Reiki giapponese originario, l’uso dei simboli non era inizialmente previsto. Le fonti storiche suggeriscono che furono probabilmente introdotti in un secondo momento da Mikao Usui stesso, o da alcuni suoi allievi diretti come Hayashi Chūjirō o Eguchi Toshihiro, per facilitare l’apprendimento in contesti dove la trasmissione orale o esperienziale non era più sufficiente. In questo senso, i simboli rispondono a una logica pragmatica: non sostituiscono l’esperienza, ma la accompagnano e la guidano.
Comprendere davvero cosa sono i simboli Reiki significa quindi uscire da una visione reificata o magica e rientrare in una prospettiva relazionale, incarnata e culturale. È nella pratica, nel corpo e nella memoria che i simboli trovano significato, e non nel loro presunto potere oggettivo.
I tre simboli Reiki del Secondo Livello
Nel corso di Secondo Livello, i praticanti Reiki vengono introdotti all’uso di tre simboli principali. Ognuno di questi Shirushi è associato a un ambito specifico della pratica, ma la loro funzione va compresa come parte di un processo graduale di interiorizzazione dell’intenzione e maturazione della presenza. Non sono strumenti da usare meccanicamente, né formule segrete dotate di efficacia automatica: sono supporti transitori, mappe momentanee che servono a tracciare un cammino esperienziale.
Il primo simbolo Reiki
Tradizionalmente associato all’idea di “potenziamento”, il primo simbolo viene spesso presentato come strumento per rafforzare il flusso di energia durante i trattamenti Reiki. Tuttavia, da una prospettiva antropologica e semiotica, esso può essere compreso come un dispositivo che radica l’intenzione nel corpo e aiuta a focalizzare l’attenzione nel gesto. La sua efficacia dipende dalla capacità del praticante di agire con presenza e consapevolezza, non da una presunta forza insita nella forma del segno.
Il secondo simbolo Reiki
Il secondo simbolo è connesso alla dimensione emotiva e mentale dell’esperienza. Nei corsi Reiki viene spesso spiegato come uno strumento per “armonizzare” pensieri, memorie o emozioni. In realtà, il suo valore risiede nella possibilità di dare forma all’intenzione di ascolto e contatto, operando su un piano simbolico che coinvolge la risonanza interiore e la capacità di stare con ciò che emerge. Anche in questo caso, non è il simbolo a trasformare la persona, ma la pratica incarnata che esso contribuisce ad orientare.
Il terzo simbolo Reiki
Associato alla cosiddetta pratica a distanza, il terzo simbolo viene usato per oltrepassare le coordinate spazio-temporali e offrire trattamenti Reiki a persone non presenti fisicamente. Più che “superare le barriere” nel senso comune, questo simbolo può essere letto come una metafora operativa: permette di lavorare sulla qualità della connessione e sulla responsabilità dell’intenzione anche in assenza di contatto diretto. Il suo uso richiede un’elevata consapevolezza relazionale, e non va disgiunto da una riflessione etica sulla cura a distanza.
Il quarto simbolo Reiki (Terzo Livello)
Nel Terzo Livello Reiki, i praticanti ricevono un quarto simbolo, talvolta definito “simbolo del Maestro”. Tuttavia, a differenza dei tre simboli trasmessi nel Secondo Livello, questo Shirushi non ha origine diretta nella tradizione dell’Usui Reiki Ryōhō Gakkai, l’associazione fondata da Mikao Usui. Le fonti storiche e le testimonianze raccolte da studiosi del Reiki suggeriscono che il quarto simbolo sia stato introdotto successivamente da Hayashi Chūjirō, uno dei discepoli più noti di Usui, nel contesto della sua scuola.
Alcune somiglianze formali e concettuali tra questo simbolo e i caratteri utilizzati nelle pratiche spirituali del Johrei — un sistema religioso e di guarigione giapponese sviluppatosi negli anni ’30 — fanno ipotizzare una possibile influenza incrociata. In questo senso, il quarto simbolo riflette una fase di evoluzione del Reiki già in dialogo con altri movimenti spirituali moderni, segnando un passaggio dalla trasmissione più informale e orale del Reiki originario verso un modello più codificato e ritualizzato.
Più che “completare” la serie dei simboli, questo quarto Shirushi si configura come un simbolo pedagogico, utilizzato per segnare una soglia nella formazione e favorire un lavoro più approfondito sull’intenzionalità e sulla responsabilità della pratica. È anche, simbolicamente, un invito a lasciare i simboli stessi, a non identificarli come verità assolute, ma come strumenti provvisori che, una volta compresa la direzione, possono essere superati.
A cosa servono i Simboli Reiki?
I simboli Reiki non sono strumenti dotati di poteri intrinseci, né formule universali da applicare meccanicamente. La loro funzione è quella di accompagnare il praticante in un percorso di affinamento dell’intenzione, di strutturazione della memoria corporea e di attenzione alle dinamiche della relazione. In altre parole, i simboli agiscono quando sono situati nella pratica, nel corpo e nella relazione, non come elementi separati o autonomi.
Utilizzati all’interno di una formazione consapevole e non dogmatica, come quella proposta da My Reiki, gli Shirushi vengono insegnati non per “fare accadere qualcosa”, ma per favorire l’ascolto. Aiutano a dare forma a ciò che si percepisce, a orientare la presenza, a distinguere tra gesto abituale e gesto intenzionale. In questo senso, sono strumenti di apprendimento esperienziale, che guidano il passaggio da una pratica trasmessa dall’esterno a una pratica che prende forma dall’interno.
Nel tempo, molti praticanti scoprono che non hanno più bisogno dei simboli per entrare in contatto con la dimensione profonda della pratica Reiki. Questo non significa che i simboli siano inutili, ma che la loro funzione è transitoria: servono finché si sta apprendendo a riconoscere le proprie dinamiche interiori nella pratica, poi possono essere lasciati, come si lascia una stampella quando si impara a camminare.
Nel nostro percorso formativo, invitiamo ogni persona a non aderire acriticamente a interpretazioni fisse, ma a sviluppare un senso critico, corporeo e relazionale del Reiki. In questa prospettiva, i simboli Reiki diventano porte, non muri: varchi che aiutano a riconoscere che la forza della pratica non risiede in un segno, ma nella qualità della relazione che si costruisce a partire da esso.
Simboli Reiki: una prospettiva culturale
Per comprendere i simboli Reiki in modo pienamente consapevole, è necessario interrogarsi sul contesto storico e culturale in cui sono emersi. Spesso, nelle versioni occidentali del Reiki, i simboli vengono presentati come entità sacre, immutabili, o dotate di poteri energetici oggettivi. Questo tipo di narrazione contribuisce a una mistificazione della pratica, che ne oscura le radici culturali e ne appiattisce la complessità.
In realtà, gli Shirushi sono segni convenzionali, dotati di senso solo all’interno di un sistema di significati condiviso, come accade per ogni simbolo in ogni cultura. Il loro uso nel Reiki ha un valore pragmatico e formativo: non si tratta di “attivare” qualcosa di esterno, ma di creare un’interazione significativa tra corpo, gesto e intenzione. Come ricorda l’antropologia simbolica, nessun simbolo ha valore in sé: è la relazione con chi lo utilizza, e il contesto in cui viene trasmesso, a generarne il senso.
Molte pratiche spirituali contemporanee tendono a decontestualizzare i simboli, trasformandoli in oggetti di consumo spirituale, accessibili a tutti, sempre e ovunque. Questo processo — che alcuni studiosi definiscono white spiritual universalism — rimuove la storicità e la localizzazione delle pratiche, creando l’illusione di un significato universale, e con essa una forma sottile di espropriazione culturale. In questo senso, anche i simboli Reiki possono diventare strumenti di appropriazione se privati della loro dimensione relazionale, linguistica e situata.
Assumere una prospettiva culturale sui simboli Reiki non significa relativizzarli, ma restituirli alla loro funzione concreta: aiutare chi pratica a entrare più a fondo in una relazione incarnata con sé e con l’altro. In questo orizzonte, la formazione non è solo tecnica, ma anche etica: ciò che si insegna, come lo si trasmette e in che contesto, fa parte integrante dell’uso stesso dei simboli.
Simboli Reiki e formazione: quando si imparano?
Nel percorso formativo tradizionale, i simboli Reiki vengono trasmessi gradualmente, a partire dal Secondo Livello, quando il praticante ha già avuto modo di sperimentare la pratica del trattamento e di iniziare a sviluppare una relazione personale con l’energia, l’intenzione e il corpo. In questa fase, vengono introdotti tre simboli, ciascuno con una funzione orientativa, utile per approfondire diversi aspetti dell’esperienza: presenza, ascolto, connessione.
Il quarto simbolo, come già evidenziato, viene invece trasmesso nel Terzo Livello, che non coincide necessariamente con un “grado superiore”, ma piuttosto con un momento in cui la persona è pronta ad assumere una responsabilità diversa nella relazione con sé e con gli altri. Il Terzo Livello è, nella nostra scuola My Reiki, anche l’occasione per rimettere in discussione ciò che si è appreso, per alleggerire la pratica da elementi accessori, e per lasciare spazio all’essenziale.
Nel nostro approccio, l’insegnamento dei simboli Reiki non segue uno schema rigido, ma si fonda su un’interazione viva tra docente e praticante, dove ogni simbolo viene proposto non come “formula” da ripetere, ma come segno aperto, che prende senso solo all’interno di un’esperienza concreta. L’apprendimento non è quindi un accumulo, ma un processo di raffinazione, in cui ciò che resta è ciò che ha davvero parlato al corpo e alla vita della persona.
Simboli Reiki e pratica consapevole
I simboli Reiki, nella nostra visione, non sono dogmi da apprendere né codici segreti da custodire, ma porte esperienziali che si aprono e si chiudono a seconda del momento, della disponibilità e dell’ascolto del praticante. Come ogni simbolo vivente, essi mostrano la via solo se attraversati, se agiti con intenzione incarnata e non ridotti a tecniche automatiche o a contenitori di significati fissi.
Il percorso con i simboli non ha come fine l’attaccamento allo strumento, ma il superamento dell’attaccamento stesso: quando l’attenzione è sufficientemente raffinata, quando la qualità della presenza si è radicata nel corpo, i simboli possono essere lasciati andare. Rimane la pratica, rimane la relazione, rimane la possibilità di una cura che nasce non dal gesto in sé, ma dalla consapevolezza che lo abita.
Per questo, nella nostra scuola invitiamo ogni persona a sperimentare i simboli Reiki con apertura e spirito critico, non per credere in essi, ma per ascoltare ciò che si muove quando vengono tracciati, pronunciati, interiorizzati. È lì che può avvenire qualcosa: non nel simbolo, ma nell’incontro.
🟢 Mini‑Glossario dei simboli Reiki
Shirushi
Termine giapponese che indica un segno o contrassegno. Nel Reiki si riferisce ai simboli trasmessi a partire dal Secondo Livello.
Intenzione incarnata
Gesto o azione che integra intenzione, corpo e presenza. I simboli Reiki agiscono se tracciati con consapevolezza e attenzione incarnata.
Dispositivo pedagogico
Strumento formativo che orienta la consapevolezza e accompagna il processo di apprendimento esperienziale nel Reiki.
Contesto situato
Cornice culturale e relazionale all’interno della quale un simbolo Reiki acquisisce significato. Fuori da questo contesto, il simbolo perde la sua funzione.
Pratica relazionale
Ogni gesto nel Reiki — incluso l’uso dei simboli — avviene in una relazione. Non è l’oggetto in sé a produrre effetti, ma la qualità dell’incontro che facilita.
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