Il nostro mondo sembra non conoscere più il silenzio: ovunque ci giriamo, ovunque andiamo sentiamo parlare. Tv,internet,radio bar ristoranti strade,mezzi pubblici, ovunque ci giriamo sentiamo parlare. È talmente forte l’abitudine alla parola che anche quando siamo da soli in qualche modo dobbiamo trovare il modo di parlare o di sentire qualcuno parlare. E così entriamo in metropolitana e ci attacchiamo in maniera compulsiva al telefono, postiamo su facebook “sono in metropolitana”, insomma o con la voce o con la scrittura o con i pensieri continuiamo a parlare… Quando siamo soli in casa spesso accendiamo Tv o radio e ascoltiamo qualcun altro parlare.
La parola è espressione dei nostri pensieri, è ciò che ci rende umani, che ci permette la scrittura e la condivisione di esperienze e di conoscenze.
Ma siamo sicuri che tutto ciò che pensiamo, diciamo e scriviamo nell’arco di una giornata sia veramente utile a noi e a chi ci sta intorno? Spesso la parola è usata come ‘riempitivo del silenzio’ che necessariamente si instaurerebbe in noi.
A volte sembra che temiamo il silenzio, forse perchè non ci siamo più abituati, bombardati come siamo da incessanti logorree vocali e non. Spesso guardiamo con aria di compatimento l’amico che se ne sta in silenzio nella serata chiassosa e pensiamo “guarda che sfigato che non parla con nessuno!”.
Ecco: spesso confondiamo il parlare con il socializzare, e il socializzare con l’essere persone sicure e vincenti.
Ma chi ha detto che il silenzio non porta con sè cose buone?
Il silenzio innanzitutto ci permette di riprendere il controllo dei nostri pensieri, è la porta della pace e della tranquillità oltre che di un atteggiamento di ascolto verso gli altri.
Il silenzio ci permette di poi di aprirci agli altri in maniera consapevole, in maniera diretta e non appesantita dalla necessità di dover dire qualcosa a tutti i costi.
Se ascoltiamo di più il nostro silenzio e quello degli altri potremo portare nelle nostre parole una maggior presenza di noi stessi.
Federico Scotti è filosofo, antropologo e maestro di Reiki tradizionale giapponese. Fondatore del Centro My Reiki, da oltre un decennio si dedica all’insegnamento e alla trasmissione del Reiki con un approccio etico, critico e riflessivo, attento alla storia e al contesto culturale della pratica.
Con una solida formazione in filosofia e antropologia della salute, integra il pensiero critico con lo studio delle pratiche di guarigione non biomediche, approfondendo in particolare i temi dell’embodiment, dei paesaggi terapeutici e delle prospettive culturali e decoloniali del benessere.
Autore di diversi libri sul Reiki, promuove una visione profonda e non dogmatica della disciplina, in dialogo con la ricerca antropologica e con le trasformazioni spirituali contemporanee. Ogni anno accompagna gruppi di praticanti in Giappone nei Reiki Tour, percorsi esperienziali e trasformativi nei luoghi legati alla storia di Usui Sensei.
Nel suo insegnamento, integra la pratica con la consapevolezza critica: per lui, il Reiki è prima di tutto una forma di ascolto profondo e di relazione consapevole con il vivente, inteso non solo come corpo umano, ma come insieme di legami, emozioni, paesaggi e memorie. Una cura che non separa, ma connette.