Attivazione Reiju
La cerimonia del kanjo nel buddismo esoterico
Attivazione Reiki: significato, storia e prospettiva critica
L’attivazione Reiki è spesso descritta, nei contesti divulgativi, come un “rito sacro” o un “passaggio di potere” misterioso, talvolta circondato da una retorica spiritualista che tende a esotizzare la pratica. Tuttavia, un’analisi attenta delle fonti storiche ci permette di restituire alla cosiddetta attivazione Reiki la sua complessità culturale, evitando derive essenzialiste e mitologizzazioni prive di fondamento documentale.
Il significato del termine Reiju
Il termine giapponese tradizionalmente associato all’attivazione Reiki è reiju (霊授), che può essere tradotto come “conferimento dello spirito” o “trasmissione spirituale”. Questa cerimonia, introdotta da Mikao Usui all’interno della Usui Reiki Ryōhō Gakkai — l’associazione da lui fondata — rappresentava un momento rituale destinato a favorire il radicamento della pratica e a sostenere l’apprendimento esperienziale del metodo Reiki.
Benché oggi venga comunemente definita “attivazione Reiki”, il reiju non prevedeva una struttura rigida o codificata universalmente. Piuttosto, si trattava di una breve cerimonia simbolica, in cui il ricevente, seduto in posizione gasshō (mani giunte davanti al petto), riceveva un tocco leggero e un soffio da parte dell'insegnante. Questo gesto, ispirato a pratiche del buddhismo esoterico giapponese, evocava la trasmissione non verbale di una disposizione interiore, più che di un potere concreto.
Origini del Reiju: tra buddismo esoterico e pratica moderna
Le radici del reiju vanno rintracciate nel rituale esoterico chiamato kanjō, una cerimonia di iniziazione tipica del buddhismo tantrico giapponese, in particolare nella scuola Tendai, che Usui potrebbe aver frequentato durante i suoi periodi di ritiro sul Monte Kurama. Nel kanjō, il maestro “trasmette” al discepolo un’energia spirituale, connettendolo simbolicamente a un Buddha cosmico o a una divinità del pantheon esoterico.
Questa dimensione, tuttavia, viene profondamente trasformata nella pratica laica del Reiki, che si sviluppa nella società giapponese moderna, influenzata dal sincretismo religioso, dal razionalismo terapeutico e da correnti di pensiero come il New Thought. Nell’ottica di Usui, il gesto iniziatico non ha lo scopo di investire magicamente il praticante, ma di favorire un processo di apertura interiore e di consapevolezza, legato all’energia dell’Universo e all’etica del kokoro (mente-cuore) armonizzato.
Attivazione Reiki e continuità storica
All’interno della Usui Reiki Ryōhō Gakkai, il reiju veniva praticato regolarmente durante gli incontri periodici dei membri. Era considerato parte integrante del cammino di apprendimento e perfezionamento, tanto che il numero di reiju ricevuti veniva annotato con cura nei registri associativi. Questa prassi venne mantenuta anche nella scuola del suo allievo Hayashi Chūjirō, la Hayashi Reiki Kenkyūkai, dove la ripetizione costante della cerimonia era vista come strumento per coltivare la sensibilità energetica del praticante.
Anche oggi, nella Gakkai giapponese originale (che opera in modo riservato e continuativo), la ripetizione del reiju è considerata essenziale per progredire nel metodo. L’accesso ai livelli successivi non è determinato da un unico momento di attivazione, ma da una partecipazione costante a incontri formativi dove si riceve più volte questa trasmissione, sottolineando così l’importanza della pratica regolare e della trasformazione progressiva.
Una prospettiva critica sull’attivazione Reiki
Nel Reiki occidentale contemporaneo, il termine “attivazione Reiki” è spesso utilizzato per descrivere il momento in cui l’insegnante “apre i canali energetici” dello studente, rendendolo capace di canalizzare l’energia universale. Tuttavia, questa concezione rischia di attribuire alla cerimonia un potere quasi sovrannaturale, che può facilmente scivolare in una visione essenzialista del Reiki come pratica spirituale fissa e atemporale.
Una lettura più attenta ai contesti culturali e storici suggerisce invece che l’attivazione Reiki — o reiju — sia meglio compresa come un momento relazionale e pedagogico, piuttosto che come una trasmissione mistica. Si tratta di un gesto simbolico che inaugura una disposizione esperienziale, non un “potere magico” conferito dall’esterno. In questo senso, parlare di attivazione Reiki significa riconoscere la funzione trasformativa della relazione didattica, piuttosto che affermare un’ipotetica infusione di energia.
L’attivazione Reiki oggi: ritualità e consapevolezza
Oggi molti insegnanti Reiki propongono l’attivazione come momento centrale della formazione, ma è fondamentale sottolineare che il suo significato non è oggettivo né universale. Esistono diversi stili di esecuzione, diversi linguaggi simbolici, e soprattutto diverse concezioni di cosa avvenga realmente durante questo gesto. La consapevolezza di questa pluralità invita a un approccio critico, riflessivo e non dogmatico, che riconosce la funzione dell’attivazione Reiki come stimolo a un cambiamento di sguardo, piuttosto che come soglia iniziatica definitiva.
In sintesi: cosa intendiamo con attivazione Reiki?
Parlare di attivazione Reiki significa fare riferimento a un gesto rituale — chiamato tradizionalmente reiju — che apre uno spazio di ascolto, relazione e trasformazione. Non si tratta di un trasferimento magico, ma di un momento pedagogico e simbolico, radicato in una storia culturale specifica e ancora oggi rielaborato in modi molteplici.
Recuperare la dimensione storica del reiju permette di liberare l’attivazione Reiki dalle semplificazioni esoteriche e di restituirle la profondità di una pratica che unisce corpo, etica, intenzione e contatto.