Una riflessione sulla relazione nella cura Reiki
Introduzione
Nel mondo del Reiki, il trattamento a distanza è spesso presentato come una possibilità potente, accessibile e “intuitiva”. Ma cosa significa davvero trattare qualcuno senza la sua presenza fisica? E, soprattutto, qual è il ruolo della relazione quando si pratica Reiki in questa modalità? In questo articolo vogliamo proporre una riflessione attenta, critica e situata, che metta al centro non l’energia come qualcosa da inviare, ma la qualità del gesto terapeutico, inteso come relazione tra due soggettività. Parleremo di consenso, presenza e responsabilità, cercando di restituire profondità a una tecnica che, proprio perché apparentemente semplice, richiede grande consapevolezza.
È necessario chiedere l’autorizzazione prima di effettuare un trattamento Reiki a distanza? Quando ha senso proporlo, e quando invece è più opportuno incontrarsi in presenza? Interrogarsi su questi aspetti significa andare oltre la tecnica, per entrare nel cuore della pratica Reiki: la relazione.
Reiki a distanza: che cos’è davvero?
Nel metodo Usui Reiki Ryōhō, enkaku chiryo – il trattamento a distanza – è una tecnica meditativa e simbolica, che permette di offrire Reiki anche quando il ricevente non è fisicamente presente. Non si tratta di “inviare energia” come se si trattasse di un flusso meccanico o automatico, ma di creare uno spazio intenzionale, in cui l’operatore si mette in relazione con la persona trattata, utilizzando uno strumento convenzionale (come il proprio corpo, un oggetto simbolico o la visualizzazione) e mantenendo una postura di ascolto e presenza.
Nel nostro approccio, il Reiki a distanza non è una scorciatoia o un’alternativa comoda al trattamento in presenza: è una possibilità concreta, da utilizzare quando non è realisticamente possibile incontrarsi, e da praticare con responsabilità e rispetto. Il fatto che Usui abbia trasmesso sia tecniche in presenza sia a distanza suggerisce non una gerarchia, ma una capacità di scegliere, in base al contesto e alla situazione della persona.
Quando praticare Reiki a distanza?
Il Reiki a distanza è utile quando la persona non può raggiungerci, quando ci sono impedimenti temporanei o una distanza geografica importante. Ma se è possibile incontrarsi, se si può creare uno spazio fisico condiviso in cui tocco, parola e silenzio coesistono, l’incontro in presenza resta un’occasione preziosa di relazione incarnata.
Scegliere la modalità a distanza solo per comodità organizzativa – da parte dell’operatore o del ricevente – rischia di svuotare la pratica del suo significato relazionale. Il Reiki è sempre una questione di qualità del gesto, e la qualità dipende dal grado di presenza, non dalla distanza.
È corretto trattare a distanza senza averlo chiesto?
Questa è una delle domande più complesse e importanti. Non riguarda solo la tecnica, ma il modo in cui concepiamo la cura. La pratica Reiki è sempre una relazione: anche a distanza, non è mai impersonale o astratta. Quando scegliamo di trattare qualcuno, ci mettiamo in contatto con la sua immagine, con il suo nome, con un’intenzione rivolta a lui o a lei. Per questo, la reciprocità è fondamentale: il trattamento ha senso solo se c’è un consenso, anche implicito, anche silenzioso, ma riconosciuto.
Trattare una persona che ha esplicitamente espresso il desiderio di non essere trattata – o agire senza che ci sia stato alcun tipo di relazione o scambio – significa superare un confine. Anche se le nostre intenzioni sono positive, la cura non è mai un atto unilaterale. Il rischio è che il gesto si trasformi in un’affermazione di sé, più che in una disponibilità all’altro. La cura, senza relazione, non è più cura.
La relazione terapeutica come spazio condiviso
Il Reiki, anche a distanza, è un’azione situata. Non agisce “da sola”, non “va dove serve”, non è un’entità autonoma. È un gesto del corpo, del pensiero e della volontà. E come ogni gesto, prende forma solo nello spazio della relazione.
Questa relazione non può essere imposta. Può nascere da una richiesta, da un ascolto, da un bisogno condiviso. Può essere mediata da parole o silenzi, da immagini o da presenze simboliche. Ma non può essere proiettata sull’altro senza che vi sia una disponibilità reale ad accoglierla.
In questo senso, praticare Reiki a distanza richiede la stessa attenzione che praticheremmo in presenza. Se non possiamo chiedere esplicitamente il consenso, possiamo comunque interrogarci: che relazione sto costruendo? A cosa sto rispondendo? Sto agendo per l’altro o per me?
In alcuni casi, quando non è possibile stabilire un contatto o ottenere una risposta, si può scegliere di non praticare Reiki, ma semplicemente meditare, rimanere presenti, invocare uno spazio di ascolto. In silenzio. Senza intervenire. Perché anche l’attesa è un gesto. Anche il rispetto è una forma di cura.
📌 Questo articolo fa parte del nostro percorso di riflessione sulla pratica Reiki in chiave etica e relazionale. Se desideri approfondire il Reiki a distanza come tecnica meditativa e terapeutica, puoi leggere la pagina dedicata oppure scoprire il nostro corso di secondo livello Reiki.