Introduzione: la questione dell’unità nel pluralismo del Reiki occidentale
Nel panorama transnazionale del Reiki contemporaneo, quattro sono le correnti che si sono imposte come riferimenti centrali nella trasmissione della pratica in Occidente: Usui Shiki Ryōhō, trasmesso da Hawayo Takata e formalizzato nella Reiki Alliance; Gendai Reiki Hō, fondato da Hiroshi Doi; Jikiden Reiki, strutturato da Tadao Yamaguchi; e Komyō Reiki Dō, creato dal reverendo Hyakuten Inamoto. Ognuna di queste scuole si presenta come un’espressione distintiva dell’eredità di Usui Mikao, e al tempo stesso come una forma culturalmente situata e storicamente determinata di rilettura della sua proposta originaria.
Oltre l’energia: criticità di una definizione universalizzante
Il bisogno diffuso di riconciliare tale molteplicità ha prodotto una narrazione semplificata, secondo la quale le quattro scuole sarebbero accomunate dall’uso dell’“energia Reiki”. Sebbene tale affermazione possa apparire intuitiva, essa si rivela, a un’analisi più attenta, concettualmente povera e culturalmente problematica. La nozione generica di energia, infatti, non è sufficiente a fondare una legittimità genealogica, né a giustificare l’appartenenza a una tradizione.
Come osserva Josephson-Storm (2017), le pratiche spirituali moderne sono spesso caratterizzate da un processo di “re-enchantment” che opera attraverso la selezione e la reinvenzione di elementi di tradizioni precedenti, generando forme ibride che tendono a universalizzarsi. In questo quadro, l’invocazione dell’“energia” rischia di fungere da elemento neutro e de-storicizzato, capace di legittimare qualsiasi variante, fino alla completa dereferenzializzazione semantica del termine “Reiki”.
Il richiamo a Usui: genealogia e limiti di una legittimazione storica
In effetti, se ci si limitasse a tale criterio, si finirebbe per includere nella categoria Reiki anche la miriade di “stili” proliferati in Occidente negli ultimi due decenni – spesso privi di una relazione documentabile con la figura di Usui Mikao – e accomunati solo dall’uso nominale del termine. Tale fenomeno può essere letto, da un punto di vista critico, come effetto della logica globale del “brand spirituale” (Heelas and Woodhead: 2005), secondo la quale la coerenza interna della tradizione viene subordinata all’efficacia simbolica del nome.
In alternativa a tale prospettiva universalizzante, si potrebbe affermare che le quattro scuole siano accomunate dal riferimento esplicito a Usui Mikao. Si tratta di una risposta storicamente fondata e più selettiva. Tuttavia, anche questa si espone a una forma di riduzionismo genealogico: dire che tutte si rifanno a Usui, senza interrogare le modalità concrete attraverso cui tale riferimento viene attualizzato, equivale a mascherare sotto una superficie di unità formale una serie di tensioni interpretative profonde.
Tradizione come tensione: il Reiki tra trasmissione e reinterpretazione
Come ha mostrato Miyake (2021), la “tradizione” non è mai una realtà fissa e data, ma un campo dinamico di rinegoziazione simbolica e politica, dove le pratiche di trasmissione si intrecciano con quelle di selezione, omissione e reinvenzione. In questo senso, l’unità del Reiki non può essere pensata come un’origine immobile da preservare, ma come un punto di tensione da abitare criticamente.
Un possibile criterio ermeneutico per orientarsi in tale pluralismo può essere individuato nei primi due versi del Gokai, il testo che apre i Cinque Principi del Reiki, così come trasmesso nel manoscritto autografo attribuito a Usui Mikao:
Shōfuku no hihō – «Il metodo segreto per richiamare la felicità»
Manbyō no reiyaku – «La medicina spirituale per tutte le malattie»
Il Gokai come nucleo condiviso: spiritualità e terapia in equilibrio
Queste due righe non vanno lette come una formula fissa, ma come una dichiarazione d’intenti che struttura l’identità del Reiki in forma duale: da un lato, come disciplina spirituale, dall’altro come pratica terapeutica. Tale visione si colloca in continuità con altri Seishin Ryōhō – metodi spirituali giapponesi – sviluppatisi tra la fine dell’epoca Meiji e il periodo Taishō, come mostrano le ricerche di Frühstück (2003) e Hardacre (2017), nei quali la cura del sé e la cura dell’altro si configurano come dimensioni co-implicate di un unico percorso trasformativo.
Le quattro correnti: differenze di enfasi, convergenza di intenti
Le quattro correnti occidentali del Reiki riflettono, ciascuna a suo modo, questa struttura duale, attribuendo però enfasi e priorità differenti a ciascuno dei due poli. Komyō Reiki Dō e Gendai Reiki Hō, rispettivamente fondati da un monaco buddhista e da un membro della Usui Reiki Ryōhō Gakkai, si orientano verso un’enfasi più marcata sulla dimensione spirituale. Al contrario, Usui Shiki Ryōhō e Jikiden Reiki, per ragioni storiche legate alla trasmissione ricevuta da Hayashi, pongono maggiore attenzione sull’efficacia terapeutica della pratica. Come osserva Stein (2023), l’orientamento terapeutico di Hayashi ha influenzato profondamente la ricezione del Reiki in ambito clinico e la sua adattabilità al contesto biomedico.
Nonostante tali differenze, in tutte le scuole sopravvive – talvolta in forma implicita – la coesistenza di entrambe le dimensioni. La tensione tra spiritualità e terapia non è dunque da risolvere, ma da riconoscere come elemento strutturante della pratica.
Conclusione: verso una comprensione dinamica e pluralista del Reiki
A titolo evocativo, si può rappresentare tale equilibrio con l’immagine di un fiore: il centro del fiore è costituito dalle due righe iniziali del Gokai; i petali rappresentano le diverse correnti. Ogni petalo è unico e differente, ma trova senso solo in relazione al centro, e il centro, da solo, non dà forma al fiore. In questa metafora si riflette una visione del pluralismo come coesistenza non pacificata, ma fertile, di interpretazioni molteplici che si riconoscono in un nucleo comune senza annullare la propria specificità.
In altri termini, si tratta di assumere la pluralità non come deviazione dalla norma, ma come forma legittima della trasmissione stessa. Come suggerisce Asad (1993), le tradizioni vivono solo nella misura in cui sono oggetto di rielaborazione interna, attraverso pratiche interpretative situate. Il Reiki, lungi dall’essere una forma univoca, si configura allora come un campo di pratiche in tensione, tenute insieme da un orientamento condiviso, più che da una dottrina unitaria.
Il riferimento alle due frasi iniziali del Gokai può dunque costituire non solo una guida etica e spirituale, ma anche uno strumento di autoriflessione per ogni praticante: laddove si percepisca uno sbilanciamento – verso la sola dimensione terapeutica o esclusivamente spirituale – esse possono fungere da criterio per riorientare la propria pratica verso un equilibrio originario, non come ritorno a un passato puro, ma come movimento intenzionale tra polarità vive.
Shōfuku no hihō
Manbyō no reiyaku
In queste due righe si condensa una proposta che è al tempo stesso cura, cammino, relazione e interrogazione. Esse non chiudono il significato del Reiki, ma lo aprono: verso la complessità delle forme, la profondità dei sensi e la responsabilità dell’interpretazione.
Bibliografia
- Asad, T. (1993). Genealogies of religion: Discipline and reasons of power in Christianity and Islam. Baltimore: Johns Hopkins University Press.
- Frühstück, S. (2003). Colonizing sex: Sexology and social control in modern Japan. Berkeley: University of California Press.
- Hardacre, H. (2017). Shinto: A history. New York: Oxford University Press.
- Heelas, P. and Woodhead, L. (2005). The spiritual revolution: Why religion is giving way to spirituality. Oxford: Blackwell.
- Josephson-Storm, J.A. (2017). The myth of disenchantment: Magic, modernity, and the birth of the human sciences. Chicago: University of Chicago Press.
- Miyake, T. (2021). Tradizione, identità, mediazione: l’auto-orientalismo in Giappone. Venezia: Cafoscarina.
- Stein, J.B. (2023). Alternate currents: Reiki’s circulation in the twentieth-century North Pacific. Honolulu: University of Hawai‘i Press.