Lo Sciamanismo giapponese e il Reiki di Mikao Usui

Federico ScottiRisorse ReikiLascia un commento

sciamansimo e reiki

Premessa e obiettivi

La storia dello Shintō evidenzia la sua capacità adattiva rispetto ai mutevoli contesti socio-culturali che ha attraversato, soprattutto ne mette in luce la solidità come asse portante del sentimento religioso di fondo del popolo giapponese (Hori, 1975: 285) oltreché come elemento coesivo delle relazioni sociali e con il territorio. Lo Sciamanismo giapponese, che condivide i presupposti ontologici e cosmologici dello Shintō, deve probabilmente quindi il suo carattere eterodosso, rispetto alla canonizzazione classica di Eliade, proprio alla natura sincretica e plastica della religione autoctona del Sol Levante.

La storia dello Shintō è infatti definita da periodi di crisi e di ricomposizione in sintesi, che hanno come obiettivo la conciliazione e la pacificazione delle contraddizioni, non solo teoretiche ma anche di tipo politico e sociale.

Questi momenti dialettici dello Shintō portano con sé necessariamente non tanto la riscrittura della propria cosmologia, quanto la ridefinizione delle aree di intervento al suo interno. In altre parole, se la struttura e l’ordine dell’Universo shintoista non muta, mutano invece le aree a cui esso è legittimato ad accedere. Da questo punto di vista, lo sciamanismo giapponese sembra in effetti condividerne le sorti, mostrandosi così, in questa prospettiva storicistica, capace di adattarsi e di definirsi in relazione alle mutate condizioni storico-sociali.

Alla luce di queste considerazioni, una delle principali critiche di Eliade rispetto all’autenticità dello sciamanismo giapponese, ossia l’assenza della componente estatica nella figura della Miko, intesa come esperienza extra-corporea e multidimensionale, sembra assumere una valenza meno cogente, proprio perché riletta all’interno di un’ermeneutica olistica e diacronicamente contestualizzata.

Questo studio si propone quindi, seguendo l’idea di una dinamicità della dimensione sciamanica correlata ai movimenti adattivi dello Shintō, di individuare e tratteggiare elementi propri dello sciamanismo giapponese all’interno delle pratiche di guarigione sviluppate da Mikao Usui (1865-1926) e della sua organizzazione Usui Reiki Ryōhō Gakkai tra il 1922 e il 1926. I principali punti di osservazione sono: da una parte, le modificazioni delle aree di intervento dell’azione sciamanica all’interno del dominio della sincretica cosmologia shintō-buddhista; dall’altra, le pratiche sciamaniche dell’ascetismo di montagna di cui lo Shugendō è certamente l’espressione più strutturata e culturalmente rilevante.

Sciamanismo giapponese e Ryōbu

Secondo Carmen Blacker, l’introduzione del buddhismo in Giappone rappresenta un punto di snodo importante per comprendere il carattere dinamico dello sciamanismo giapponese; prima di questo momento, infatti, sembra che le sue caratteristiche potessero essere più autenticamente conformi ai canoni tracciati da Eliade, come sostiene anche il lavoro di Hori Ichirō (Hori, 1975). Tali canoni mettevano in primo piano, come elemento di autenticità, la presenza dell’elemento estatico all’interno dell’esperienza sciamanica [1].

L’incontro con il Buddhismo avrebbe prodotto dunque una modifica importante nello sciamanismo giapponese, spostandone e orientandone l’asse esperienziale dal viaggio estatico multidimensionale verso la medianità da una parte (Miko) e l’ascetismo (Yamabushi) dall’altra.

Le ragioni di questa riduzione dei piani dell’esperienza sciamanica dalla verticalità dell’estasi all’orizzontalità della medianità potrebbe essere rintracciata all’interno del sistema duale denominato Ryōbu, come culmine di un processo sincretico che di fatto elimina i confini tra le due religioni. In particolare, il Ryōbu mira a considerare le divinità del Pantheon Shintō come epifanie di quelle buddhiste, considerate le uniche vere divinità originarie, associando inoltre ad ogni divinità Shintō un Buddha o un Bodhisatva (Anesaki, 2022: 31-32).  La ricaduta socio-culturale del Ryōbu è la ridefinizione delle aree di intervento per Shintō e Buddhismo che sono identificate rispettivamente nell’area della mondanità e della trascendenza ultraterrena.

Nell’ambito del così detto Jinja Shintō [2] (Shintō dei santuari) i santuari Shintō sono presieduti da sacerdoti buddhisti e i riti vengono officiati secondo una modalità sincretica shintō-buddhista riservando ai preti Shintō un ruolo secondario (Anesaki, 2022: 32).

Con l’introduzione del buddhismo in Giappone anche la figura della Miko, come intermediaria tra le volontà divine e gli uomini, appare perdere rilevanza, uscendo dalla corte dell’imperatore ed assumendo un ruolo marginale all’interno dei templi Shintō (Blacker, 2004: 30). Ciò fa presupporre che il sistema duale Ryōbu abbia interessato anche i medium giapponesi legati allo Shintoismo (Miko) dando più importanza agli asceti (Yamabushi), più strettamente legati alla tradizione buddhista di tipo esoterico. In questo senso, potrebbe essere un’ipotesi di lavoro suggestiva, ma da indagare ulteriormente, ricondurre alla suddivisione delle aree di intervento del Ryōbu anche l’assenza dell’esperienza estatica nello sciamanismo delle Miko: secondo Hori, infatti, essa poteva essere invece presente nel rituale sciamanico giapponese in epoche precedenti.

Di contro, Blacker sottolinea che la componente del viaggio estatico è invece presente, anche se in modo non molto frequente e prevalentemente simbolico, nell’iniziazione delle figure sciamaniche di tipo ascetico. Queste figure, come detto, sono strettamente legate al Buddhismo Shingon, quindi all’area di intervento non mondana prescritta dal Ryōbu.

Ancora sulla scia degli studi della Blacker,  è interessante notare che la cosmologia a cui fanno riferimento i viaggi estatici dello sciamanismo giapponese di montagna ricalca la tripartizione classica (mondo ctonio, terrestre e uranio) dello sciamanismo asiatico piuttosto che quella buddhista dei sei regni rappresentati nel Bhavacakra; tali viaggi sono limitati esclusivamente o al regno ctonio (inferno) o a quello uranio (paradiso) e hanno connotazioni prevalentemente morali, senza riferimenti cioè al tema karmico delle rinascite.

Il cosmo sciamanico delle figure ascetiche è dunque ricollocabile all’interno dell’area classica dello sciamanismo asiatico canonizzato da Eliade, definendo quindi una cesura formale rispetto al cosmo buddhista, soprattutto per quanto riguarda le implicazioni teleologiche di liberazione dell’anima dal ciclo del saṃsāra. D’altro canto, l’esperienza della trance dell’asceta è diametralmente opposta a quella delle Miko, ed è più vicina invece alle esperienze documentate nello sciamanismo asiatico e siberiano. Si configura cioè come una sorta di stato comatoso (Blacker, 2004: 23) per certi versi simile agli stati di Samādhi della tradizione yogica.

La scarsa presenza dell’esperienza del viaggio estatico nello Sciamanismo giapponese, documentata dalla Blacker, può far quindi ipotizzare che essa può essere facilmente confusa da un punto di vista emico con l’esperienza del Samādhi, che invece appartiene al sentiero di realizzazione spirituale dell’individuo.

Questa collisione di piani porterebbe dunque con sé la perdita della netta divisione di competenze, definita dal Ryōbu, tra Shintō e Buddhismo; per questo motivo il tema del viaggio estatico non sarebbe presente nelle esperienze sciamaniche delle Miko ed è scarsamente documentato nei percorsi iniziatici di tipo ascetico. Tale ipotesi necessiterebbe comunque di ulteriori verifiche e maggiori approfondimenti.

Sulla scia del sincretismo shintō-buddhista, il fenomeno sciamanico assume quindi in Giappone il ruolo classico di mediazione e pacificazione tra la dimensione sottile del divino e quella empirica umana: essa si manifesta da una parte nella figura della Miko come portavoce delle volontà degli spiriti, e dall’altra nella figura dell’asceta-sciamano di montagna, come guaritore per mezzo dell’accesso a particolari energie ottenute attraverso un durissimo percorso di rinuncia. La dimensione del viaggio come strumento di interazione con il mondo sottile non è invece contemplata (Blacker, 2004: 108).

L’accesso dunque ai servizi dello sciamano è, alla luce del Ryōbu, motivato da preoccupazioni mondane e non ultraterrene (salvifiche), con lo scopo di risolvere problemi contingenti pacificando i Tama e ottenendo il favore dei Kami: in questo senso lo sciamanismo giapponese circoscrive il proprio ambito cosmologico e ontologico di intervento [3] rispetto alla religione buddhista nell’orizzontalità della mediazione e dell’interazione tra la dimensione sottile e quella empirica, ponendosi come ponte di congiunzione tra i due mondi che naturalmente si compenetrano.

Il simbolismo dell’orizzontalità del ponte, attraversabile solo da figure umane d’elezione, che congiunge il mondo empirico con la dimensione sottile, è quella che esprime meglio il carattere dello sciamanismo giapponese: laddove invece la dimensione della verticalità è presente attraverso il simbolismo della montagna, essa risulta comunque mitigata dalla figura dell’asceta che non compie viaggi di conoscenza o di guarigione tra i tre mondi ma da essi porta al limite ammonimenti di tipo morale.

Lo Shugendō e lo sciamanismo giapponese: l’incorporazione del Cosmo e il Kaji

All’interno delle correnti dello sciamanismo ascetico di montagna, lo Shugendō riveste un ruolo importante e cruciale, mettendo in evidenza sia il carattere sincretico del fenomeno sciamanico giapponese sia le sue peculiari caratteristiche. Lo Shugendō, inoltre, ci aiuta a mettere in luce alcuni elementi propri dello sciamanismo di montagna che possono rappresentare utili linee guida di indagine all’interno delle pratiche di guarigione di Usui Reiki Ryōhō.

Come sottolinea infatti Miyake Hitoshi, “Shugendō is an extremely appropriate object of study in dealing with Japanese shamanism, since Shugendō aims at intensifying ascetic practices in the sacred mountains that are considered the sacred otherworld, and at acquiring the power to manipulate the spirits and divinities living there.” (Hitoshi, 2001:132)

Lo Shugendō rappresenta dunque l’area culturale d’elezione per lo sciamanismo ascetico, essendo il punto di sintesi tra le credenze giapponesi autoctone sulla montagna e gli elementi del Buddhismo esoterico. Con ciò non si intende chiaramente identificare lo sciamanismo giapponese di montagna esclusivamente con lo Shugendō, dal momento che questa pratica era propria anche del Buddhismo Tendai e Shingon; tuttavia, seguendo ancora le riflessioni di Hitoshi, lo Shugendō sviluppa fin dalle sue origini, collocabili nel periodo Heian (794-1185), uno spiccato orientamento all’ascesi finalizzata all’ottenimento di poteri magici con finalità terapeutiche (Hitoshi, 2001:11).

Il ritualismo dello Shugendō è particolarmente interessante: esso sembra risolvere all’interno di una cosmologia sciamanica di tipo classico il tema dell’estasi e del viaggio, come si è detto poco presenti nelle esperienze dello sciamanismo giapponese, che diviene da una parte una sorta di ‘sapere incorporato’ nella figura dello sciamano-asceta e dall’altra viene espresso attraverso l’accesso a una precisa simbologia.

Prima di descrivere brevemente il rito dello Shokanjo (consacrazione) e il rito dello Hashiramoto Goma (erezione del pilastro) è importante soffermarsi sul ruolo simbolico della montagna nello Shugendō, che è il luogo dell’accesso alla dimensione sottile dell’altro-mondo ma contemporaneamente è la rappresentazione del Cosmo stesso.

La montagna-mandala esprime bene questo concetto di corrispondenze fra il macrocosmo sciamanico e il microcosmo della conformazione naturale del territorio montano; qui nello stesso luogo coesistono sia la possibilità di accedere al Paradiso (ad esempio passando al di sopra delle cascate o ai picchi delle montagne) sia quella di entrare all’Inferno (ad esempio attraverso le caverne o le paludi e le valli) (Hitoshi, 2001:140).

La cosmologia dello Shugendō contempla dunque una suddivisione essenzialmente duale fra Cielo e Terra, entro cui agiscono le due forze cosmiche di yin e yang che danno origine agli esseri umani e all’Universo fenomenico; la montagna in questo senso funge sia da rappresentazione simbolica (mandala) del Cosmo stesso sia da elemento di congiunzione tra Cielo e Terra (axis mundi). Questa duplice valenza simbolica della montagna rappresenta un elemento portante della ritualità dello Shugendō e ha importanti implicazioni sul piano strutturale e funzionale della figura dello sciamano-asceta (Yamabushi), come pare emergere attraverso il rito della consacrazione e quello dell’erezione del pilastro.

Nel rito di consacrazione (Shokanjo) a cui l’iniziando accede attraverso un periodo precedente di digiuno e di privazioni sulla montagna che ne simboleggia il passaggio attraverso i Dieci Regni dell’Esistenza [4], il punto centrale è il divenire egli stesso, accompagnato dalla propria divinità protettrice, un Buddha nel proprio corpo. L’iniziando quindi incorpora la natura del Buddha attraverso uno specifico mudrā che gli viene donato e che potrà essere successivamente richiamato ogni volta che egli voglia operare questa trasformazione, come ad esempio durante gli esorcismi. Gli elementi del fuoco e dell’acqua suggellano i momenti di passaggio di presentazione dell’iniziando e di consegna del mudrā.

In questo rito l’elemento trasformativo, attraverso la simbologia della rinascita dell’iniziando da uomo comune a sciamano, si unisce all’elemento dell’incorporazione del Buddha, inteso come Cosmo stesso. Da notare, infatti, la presenza del mudrā come strumento sciamanico che permette all’iniziato di richiamare in sé la buddhità, intesa sia come natura divina sia come incorporazione del Cosmo tout court (e dei suoi segreti), e utilizzabile in senso terapeutico (esorcismi). I riferimenti, inoltre, alla simbologia dell’acqua e del fuoco, elementi alchemici cosmogonici e antropopoietici per antonomasia, sono presenti spesso anche all’interno dei riti liminali dello sciamanesimo di area asiatica e siberiana.

Hashiramoto goma è un rito sia di carattere cosmogonico sia iniziatico; esso simboleggia la nascita del Cosmo attraverso i due principi maschile e femminile e la rinascita dello shugenja che incorpora il Buddha cosmico (Mahāvairocana).  Gli elementi simbolici centrali del rito sono tre piccoli pilastri che vengono eretti all’interno di un recipiente pieno d’acqua. Il pilastro centrale, generalmente più alto e di colore chiaro, rappresenta l’iniziando, mentre gli altri due pilastri, di colore nero, rappresentano il principio maschile e femminile, il padre e la madre. L’acqua è l’elemento del Cosmo originario indifferenziato, mentre il recipiente rappresenta l’unione di Cielo e Terra.

L’iniziato riempie d’acqua il contenitore ed erige i due pilastri neri all’interno di esso, simboleggiando l’unione di Cielo e Terra che producono il maschile e il femminile attraverso l’acqua. Successivamente egli erige il pilastro centrale che rappresenta l’iniziato stesso come il prodotto dell’azione sessuale tra il maschile e il femminile e ad esso dedica offerte votive e preghiere per la sua crescita e sviluppo. Il rituale del fuoco che segue queste azioni rappresenta la rinascita dell’iniziato in Buddha cosmico attraverso la ben nota simbologia palingenetica e antropopoietica delle fiamme. Al termine della cerimonia egli prende in mano il pilastro centrale simboleggiando il compimento del processo di rinascita. Ciò che è davvero rilevante in questo rituale è la rappresentazione della trasfigurazione dell’iniziato in axis mundi come punto di congiunzione tra Cielo e Terra e altresì l’incorporazione del Cosmo stesso, nella natura di Mahāvairocana, sulla scia della simbologia della montagna-mandala descritta in precedenza.

L’iniziato incorpora infatti il Buddha cosmico (axis mundi) e diviene egli stesso contemporaneamente axis mundi e Cosmo, così come accade per la montagna. In questo senso lo shugenja accede alla conoscenza dei segreti del Cosmo e diviene mediatore tra il sopra e il sotto, tra Cielo e Terra, tra macrocosmo e microcosmo, controllandone gli elementi alchemici e diventando così di fatto uno sciamano (Hitoshi, 2001: 96).

Lo sciamanismo ascetico di montagna sembra dunque risolvere il tema del viaggio estatico all’interno dell’identificazione simbolica dello sciamano con la montagna (axis mundi) e con il Cosmo stesso: divenendo egli stesso contemporaneamente axis mundi e Cosmo, la dimensione del viaggio è di conseguenza incorporata nella sua stessa figura fisica, che diventa simbolo cosmogonico e cosmologico vivente.

In altre parole, lo sciamano si muove nel mondo come un ‘Cosmo incarnato’ e come punto di congiunzione tra Cielo e Terra di cui è mediatore attivo grazie all’incorporazione del divino. Tale caratteristica dello sciamano è particolarmente evidente nel Kaji, il rito attraverso il quale lo shugenja raggiunge l’identificazione con la divinità e ne utilizza il potere per determinati scopi (Hitoshi, 2001: 68).

La funzione del Kaji è in primo luogo terapeutica, ossia permette la cura del paziente attraverso l’identificazione del praticante con il Buddha cosmico e il trasferimento dell’Energia universale all’interno del proprio corpo. In questo stato di identificazione, il praticante è in grado di effettuare diagnosi e definire il trattamento più adeguato (Winfield, 2005: 114-115).

Elementi sciamanici in Usui Reiki Ryōhō

La Terapia Reiki di Usui è solo uno dei moltissimi metodi terapeutici laici nati in Giappone nei primi anni ’20 del XX secolo e che prendono il nome di Seishin Ryōhō (Terapie psico-spirituali) o Reijutsu (Tecniche straordinarie).

Il periodo Meiji (1867-1912) aveva portato con sé di fatto la dissoluzione del sistema duale del Ryōbu e la messa al bando degli elementi definiti di superstizione di buddhismo e Shintō, ridefinendo quest’ultimo all’interno della forma della ‘religione di Stato’, a supporto del nazionalismo emergente basato sulla celebrazione della figura dell’Imperatore. In tale contesto di modernizzazione dello stato giapponese e della sua occidentalizzazione in chiave positivistica, lo spazio lasciato ai saperi tradizionali di guarigione, come ad esempio lo sciamanismo, è di fatto negato e represso (l’ordine dello Shugendō viene dissolto nel 1868).

In questo mutato quadro socio-culturale è interessante notare che molti elementi tradizionali vengono incanalati o all’interno delle pratiche rituali delle New Religions, come risposta spirituale al razionalismo positivista di fine ‘800, o all’interno dei Seishin Ryōhō, dove sopravvivono come formalismi rituali o come citazioni molto apprezzate da un’utenza alto-borghese particolarmente dotta e acculturata. È il caso della Usui Reiki Ryōhō Gakkai, l’organizzazione creata da Mikao Usui nel 1922 per diffondere il proprio metodo terapeutico, che fin dalla sua fondazione attira molti importanti rappresentanti della upper-class giapponese nazionalista ed imperialista (Stein, 2017: 86).

Il metodo terapeutico di Usui unisce e amalgama in chiave sincretica elementi e suggestioni culturali provenienti da aree differenti: le idee di guarigione della mente di Phineas P. Quimby mediate dal New Thought americano unite alle tecniche di manipolazione del prana di William W. Atkinsons [5]; il neo-confucianesimo e l’idea di salute del corpo dell’individuo come presupposto della salute collettiva e del kokutai (corpo nazionale); la tradizione ritualistica e la cosmologia del Buddhismo esoterico che a sua volta sintetizza, come accennato, elementi autoctoni di matrice shintoista e sciamanica.

La rappresentazione della figura di Mikao Usui, così come è descritta nella stele commemorativa eretta da alcuni suoi allievi nel 1927, ricalca uno dei cliché dell’iniziazione degli sciamani-asceti di montagna (Yamabushi): sono infatti presenti l’evento drammatico ed eccezionale che irrompe all’interno della vita dell’iniziando, la scelta dell’ascesi come risposta alla sofferenza e la trasformazione avvenuta attraverso le pratiche di rinuncia. I 21 giorni di digiuno e meditazione sul monte Kurama [6] da parte di Usui, raccontati sulla stele commemorativa, seguono questo modello narrativo e culminano infatti con l’evento simbolico della percezione di “un grande Reiki sopra la sua testa” che conferisce al fondatore della disciplina il potere cosmico di guarire sé stesso e gli altri. Altrove è proprio Mikao Usui a sottolineare l’origine mistica della sua arte di guarigione, identificata con il potere terapeutico dell’Universo realizzato attraverso l’ascesi (Reiki Ryōhō Hikkei: 8).

Se l’atto fondativo della disciplina di Usui pone al centro l’elemento iniziatico della montagna che contiene tutti i riferimenti simbolici descritti in precedenza, anche la cerimonia iniziatica del Reiju (conferimento dello spirito) si colloca su questo solco, presentando elementi evocativi dei riti di passaggio del Buddhismo esoterico.

La cerimonia del Reiju [7] sembra essere la rappresentazione simbolica del momento di ricezione del potere taumaturgico del Cosmo da parte di Usui sul monte Kurama (Stein, 2017: 91), e presenta interessanti analogie con l’idea ascetica di trasfigurazione dell’iniziando nell’axis mundi e dell’incorporazione del Cosmo.

Questo rito è uno degli elementi che differenzia il Reiki di Usui dalle altre modalità terapeutiche Reiki dei primi venti anni del ‘900 giapponese; esso può essere suddiviso strutturalmente in due fasi, la prima preparatoria dell’officiante e la seconda che rappresenta il processo trasformativo dell’iniziando ad opera del Cosmo.

Nella prima parte lo Shihan (insegnante) celebrante richiama tre mudrā del Buddhismo esoterico sopra di sé sulla sommità del capo, davanti alla fronte e davanti alla gola ed effettua il gesto di abluzione simbolica nell’energia prodotta da questi mudrā.

Nella seconda parte lo Shihan irradia l’Energia cosmica più volte sulla testa e sulle mani dell’iniziando che rimangono giunte nel mudrā gasshō, terminando poi il rito con un gesto che simboleggia l’atto di restituzione di questo potere dalla Terra al Cielo.

Nella cerimonia del Reiju compaiono gli elementi simbolici classici dello sciamanismo ascetico giapponese, all’interno di una rappresentazione cosmologica duale (Cielo-Terra) di cui l’officiante (Shihan) diventa contemporaneamente la rappresentazione e il mediatore (axis mundi). L’incorporazione del Cosmo da parte dell’officiante attraverso i tre mudrā permette l’acquisizione del potere taumaturgico dell’Universo, che viene portato dal Cielo alla Terra per essere conferito all’iniziando e poi restituito alla dimensione urania.

Allo stesso tempo l’iniziando, ricevendo il potere del Cosmo, diventa rappresentazione a sua volta dell’axis mundi, espresso attraverso il mudrā gasshō, che simboleggia l’unione di maschile e femminile, di yin e yang, di Cielo e Terra.

Il tema sciamanico dell’incorporazione dell’energia cosmica a scopi terapeutici, già accennato precedentemente nell’ambito della pratica del Kaji, è rintracciabile ad esempio anche nell’utilizzo degli shirushi (sigilli / simboli) come strumenti taumaturgici, anch’essi elemento distintivo del Reiki di Usui, per richiamare particolari energie di guarigione a disposizione del praticante.

In particolare, questo riferimento al Kaji sembra evidente nella pratica terapeutica chiamata seiheki chiryō ho [8] (metodo di trattamento delle cattive abitudini) dove la forma dello shirushi è etimologicamente riconducibile alla lettera sanscrita hrī, bīja mantra dell’Amida Buddha e del suo potere trasformativo della mente all’interno dell’amidismo.

Il praticante richiama lo shirushi tracciandolo davanti a sé e sulla testa del ricevente e ne salmodia il mantra invocando dentro di sé il potere trasformativo della mente attraverso l’energia di Amida Buddha; egli poi impone le mani sulla testa del paziente esorcizzando verbalmente le cattive abitudini da cui intende liberarlo. Il reikika, come axis mundi, incorpora così simbolicamente la divinità di cui acquisisce i poteri per operare una pratica che presenta forti riferimenti ai rituali sciamanici di esorcismo.

Conclusioni

Questa breve disamina dello sciamanismo giapponese, con particolare attenzione all’ascetismo di montagna, ne ha evidenziato il carattere sincretico e dinamico in relazione ai differenti contesti socio-culturali che via via ha attraversato, dall’introduzione del buddhismo e la conseguente sistematizzazione duale del Ryōbu, fino ad arrivare alla modernizzazione della Meiji Jidai, che pare restringere e comprimere il Cosmo sciamanico nella monodimensionalità del positivismo occidentale. Tuttavia, nonostante le repressioni, i divieti e le persecuzioni, la cultura sciamanica sopravvive all’interno delle New Religions o delle pratiche terapeutiche laiche, come ad esempio Usui Reiki Ryōhō, che nascono a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Tale presenza sembra tuttavia rappresentare solo formalmente il tradizionale contesto cosmologico sciamanico, attraverso cioè citazioni rituali all’interno di un orizzonte culturale che è di fatto mutato e che, seguendo le riflessioni di Silvia Rivadossi, ha a cuore non tanto la pacificazione e l’equilibrio tra il nostro mondo e quello sottile, quanto l’equilibrio del micro-cosmo individuale (Rivadossi in Beggiora, 2019: 224).

In questo senso, Usui Reiki Ryōhō sembra rappresentare un’anticipazione quasi sottotraccia degli elementi caratteristici della rinascita dello sciamanismo post-moderno giapponese il cui obiettivo “non è tanto quello di mediare con gli spiriti, quanto quello di ristabilire un equilibrio interno all’individuo, equilibrio che si percepisce – e viene fatto percepire – come smarrito a seguito della vita in una realtà metropolitana.” (Ibid.)

Questo riferimento al potere destabilizzante della modernità e l’esigenza di trovare un modo per riequilibrare mente e corpo è esplicitamente menzionato da Mikao Usui: “La ragione del perché in tempi come questi, nei quali si ricercano il miglioramento ed il recupero della salute interiore e fisica, mi permetto di insegnare questa arte liberamente in pubblico, è per salvare tutti gli amici di questo Paese dai loro problemi mentali, dalle malattie e dai disturbi fisici. […] La missione della Terapia Reiki Usui è di innalzare congiuntamente sia il benessere di sé stessi che quello degli altri: da una parte, riempiendoci di una pacifica e gioiosa esistenza mentale e fisica, dall’altra, guarendo ogni malattia.” (Reiki Ryōhō Hikkei)

All’interno della retorica neo-confuciana del kokutai, dove la salute individuale diviene un fatto sociale per il benessere nazionale, la terapia Reiki rimane un fatto di competenza umana in un Cosmo ormai ristretto ad un’unica dimensione, dove “there is no barrier to be crossed, no mysteriously other kind of being to be met or placated.” (Blacker, 2004: 315)

Bibliografia

Anesaki M. (2022), La vita religiosa del popolo giapponese, Nuova Editrice Berti, Parma.

Beggiora S. (a cura di) (2019), Il Cosmo Sciamanico, Franco Angeli, Milano.

Blacker C. (2004), The Catalpa bow, Routlege Curzon, London.

Eliade M. (1964), Shamanism: Archaic Techniques of Ecstasy, Pantheon Books, New York.

Hitoshi M. (2001), Shugendō, Centers for Japanese Studies, Ann Arbor.

Hori I. (1975), Shamanism in Japan, «Japanese Journal of Religious Studies», 2,4, pp. 231-287.

Reiki Ryōhō Hikkei (no date), Shinshin Kaizen Usui Reiki Ryōhō Gakkai, Tokyo.

Stein J.B. (2017), Hawayo Takata and the Circulatory Development of Reiki in the Twentieth Century North Pacific, PhD Dissertation, University of Toronto.

Winfield P.D. (2005), Curing with Kaji. Healing and Esoteric Empowerment in Japan, «Japanese Journal of Religious Studies», 32,1, pp. 107-130.

[1] “As documented today, Japanese shamanism is rather far from shamanism proper of the North Asian or Siberian type. It is primarily a technique of possession by ghosts and is practiced almost exclusively by women.” (Eliade, 1964: 462)

[2] Anesaki distingue lo Jinja Shintō che è praticato nei comuni santuari dallo Kyoha Shintō (Shintō delle sette) che si dirama in varie correnti.

[3] È interessante notare che, in un’area geografica differente come quella Himalayana, nei luoghi dove l’azione del Buddhismo lamaista è stata più incisiva, si assiste ad un’operazione analoga di suddivisione di aree di intervento, dove alla figura del Ku Ten è riservato il dialogo con le divinità del Pantheon buddhista, mentre a quella del jhāñkri l’interazione con gli spiriti di rango inferiore (Beggiora., 2019: 110).

[4] “During these ceremonial ‘entries into high mountain’ at stated season of the year, certain austerities are enacted which symbolize the conception, gestation and birth of an embryo in the womb, and at the same time the passage of the Buddhist disciple through the Ten Realms of Existence.” (Blacker, 2004:208)

[5] Prolifico autore dell’area del New Thought, molti dei suoi testi furono tradotti in Giappone sotto lo pseudonimo di Yogi Ramacharaka.

[6] “One day, he climbed Mt. Kurama and then for twenty-one days he fasted and performed difficult austerities and training. Suddenly, he felt a great reiki over his head and he obtained Reiki Therapy.” (Traduzione di Justin B. Stein, Comunicazione personale, Dicembre 2022)

[7] La cerimonia del Reiju che ho potuto osservare all’interno delle principali moderne scuole tradizionali di Reiki è pressoché identica nella sostanza, pur presentando alcune differenze formali. Tali differenze sono forse dovute al carattere orale della trasmissione di questa pratica. La cerimonia del Reiju qui descritta è praticata nella scuola tradizionale di Kyoto del Rev. Hyakuten Inamoto (1940-).

[8] Seiheki chiryō ho qui descritto è praticato nella scuola tradizionale del Rev. Hyakuten Inamoto.

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L'Autore

Federico Scotti

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Insegnante e terapeuta Reiki, autore di libri sul Reiki, facilitatore Mindfulness

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